La dignità del “non lo so”
Parlando della realtà quotidiana, secondo alcuni studi, dire “non lo so” trasmette sfiducia in sé stessi. In alcuni contesti, per esempio sul lavoro, può equivalere a un suicidio. Altri studi suggeriscono di trovare frasi alternative, quasi come ad essere assertivi con sé stessi, aggirare un ostacolo senza neanche prenderci il tempo di capire se da quell’ostacolo si può imparare qualcosa.
È sotto gli occhi di tutti che ci troviamo di fronte a una società che sempre di più segue le logiche performative, l’immagine del vincente, lo sgomitare, la competitività che, nel frattempo, è diventata addirittura un valore, una norma sociale che porta a una continua contrapposizione con l’altro sentito come avversario. “Contrapposizione” invece che “relazione”, unione. Inquietante.
È in questo contesto che il “non lo so” agonizza, terrorizza, rende artefatti, porta alla nevrosi cronica.
Ma quanta dignità ha nella nostra arte il “non lo so” . Il dubbio è ricerca se se ne ammette onestamente l’esistenza. Significa accettare di stare in quel dubbio, di viverlo, di stare in ascolto, di perdersi per scoprire un nuovo modo di ricomporsi, un modo più autentico.
Per questo motivo, prima ancora di avere il coraggio di dire “non lo so” è necessario ammettere a sé stessi di non sapere. Siamo talmente abituati ad avere la risposta ad ogni cosa che con il tempo ci convinciamo di averla davvero. È ovviamente un’illusione. Quando tutto intorno a noi ci insegna, anche indirettamente, che è importante non farsi cogliere mai impreparati, che è necessario essere sicuri di sé, che gli altri lo sappiano, arriviamo a convincere anche noi stessi. Il tempo cronicizza un vivere malsano per il nostro animo, per la nostra persona, e quando ci troviamo davvero di fronte a qualcosa che non conosciamo cambiamo direzione, scappiamo via, adottando comportamenti che nulla hanno a che vedere con quello che desideriamo veramente. È in questo contesto che diventa importante ammettere a sé stessi di non sapere, di trovarsi nel vuoto, vuoto che diventa pieno quando non lo rifiutiamo, ma accettiamo di starci davvero e reagiamo organicamente, con sincerità, onestà.
Un mio Maestro un giorno mi disse “Il vuoto è pieno e nel nulla si nasconde il tutto“. Ecco, quando c’è la vera ricerca, quel vuoto è pieno, pieno della nostra vera essenza, e quel nulla è tutto ciò che desideriamo e siamo davvero.